| Milan Stavolta il problema è dentro
Per la prima volta dall’avvento di Berlusconi (marzo 1986), la crisi del Milan è anche societaria, non solo tecnica. Manca un progetto di lungo respiro. Manca, perché il capofamiglia ha altro per la testa e la famiglia, pure: da Marina a Pier Silvio. Non a caso, si moltiplicano le notizie di vendita di quote azionarie (a Gheddafi, a qualche sceicco). All’inizio della lunga «marcia», il Milan servì al Cavaliere come guanto di sfida (politicanti, vi faccio vedere io). Oggi, gli è di intralcio. E i tifosi che non hanno l’anello al naso, lo percepiscono. La linea di confine non è stata la vendita di Kakà al Real Madrid, dolorosa ma plausibile. Sono state, viceversa, un’operazione di poco senso come l’ingaggio di Ronaldinho e la rinuncia al talento albeggiante di Gourcuff. Per tacere del caso Beckham, il nuovo oppio dei ricchi. Leonardo, un manager senza fregole da allenatore, è stato l’azzardo del Grande Capo, attratto dal ricordo delle scommesse vinte (Sacchi, Capello), quando di lui si parlava come di un visionario bauscia. Il Milan sconfitto dallo Zurigo a tre giorni dalla lezione inflittagli dal Bari; il Milan che se non segna Inzaghi non segna nessuno è la sintesi di un ciclo esaurito sul quale chi di dovere ha fatto poca chiarezza e millantato troppa sicumera. L’improvvisa scoperta del bilancio avrebbe potuto garantire comunque una rosa più agguerrita. Huntelaar non è un centravanti scadente; lo diventa, inserito in un assetto che fa acqua da tutte le parti. Se il Milan cammina, le responsabilità vanno cercate nel pre-campionato da ergastolo e nel logorio che coinvolge Pirlo - un’estate passata a sognare Ancelotti - Gattuso, Ambrosini, lo stesso Seedorf, per citare le colonne storiche. I vent’anni di Pato scivolano ambigui in balia di partenze (Kakà) e sirene (gli inglesi). La iella, golosa, non fa mai mancare, in queste circostanze, il suo contributo. Il disagio nasce dal vertice, da un presidente sempre più politico e, dunque, più lontano. I soldi sono molto, ma non tutto: fra Grande Milan e piccolo Diavolo ci deve essere per forza una terza via. Galliani, da solo, non la troverà mai.
Si cambia musica: tutto il Milan si gioca il posto
No, non è stata una notte qualunque per il Milan caduto miseramente in Champions al cospetto di un rivale tutt’altro che irresistibile. Lo ha svelato per primo Leonardo, impietrito dallo spettacolo mortificante. Ai cronisti, schierati in sala-stampa, mercoledì notte, ha replicato in modo severo: «Non confondete una persona buona ed educata per uno scemo». È stato il primo segno di vitalità dopo due ore vissute sotto il pelo dell’acqua di uno Zurigo qualsiasi. Ai suoi, qualche minuto prima, dentro lo spogliatoio, il giovin allenatore sotto choc ha ringhiato in modo feroce: «Non si può prendere un gol così». Ha sfoderato gli artigli per cancellare l’impressione di un comandante coi guanti di velluto. No, non è stata una sconfitta qualunque per l’ultimo Milan, abbandonato da tutti, dai tifosi e anche dalla fortuna, quei due pali scheggiati negli ultimi minuti ne sono stati una prova eloquente. Lo ha confermato l’umore di Adriano Galliani, subito inquieto davanti ai microfoni di Sky-tv, reduce da un summit telefonico con il patron Silvio Berlusconi. Ieri mattina è andato a Milanello e fissato i quattro punti cardinali delle prossime settimane: serviranno a trovare l’orientamento, indispensabile in un momento di gran confusione e instabilità, instabilità fisica, tecnica e psicologica, troppi problemi per essere risolti in un colpo solo (a Bergamo domenica pomeriggio), da una persona sola (Leonardo), in 3 giorni a disposizione. Ai microfoni di milan-channel il vice Berlusconi ha riassunto i temi del suo rapporto, confezionato in modo astuto. Sul davanti il fiocchetto della fiducia («Ricordatevi che siamo un gruppo vincente») recitata in modo convinto. «Almeno fino al termine della stagione il gruppo allenatore-giocatori non si tocca»; sul retro invece il senso autentico della sua missione, «per i costi che ha, questa società deve andare in Champions ogni anno e quindi deve arrivare nei primi tre posti». Attenti: non possiamo permetterci di mancare l’obiettivo, pena un ridimensionamento netto di stipendi e spese. Sullo sfondo, infatti, la frase simbolica di tutta la giornata di Galliani: «A cominciare dal sottoscritto, dobbiamo tutti fare di più e meglio». Sono tutti sotto esame, insomma, dal primo all’ultimo. La posizione più delicata e discussa è quella di Leonardo, naturalmente. A dispetto delle assicurazioni firmate dal vice Berlusconi, le voci di possibili destituzioni hanno preso a fare il giro del circuito mediatico, prima i siti, poi le agenzie. All’ordine del giorno del Milan non è iscritto l’argomento cambio dell’allenatore. Berlusconi e Galliani sanno di aver in qualche modo violentato Leonardo perchè accettasse di rimpiazzare Ancelotti: non lo ripagherebbero mai con la moneta dell’esonero. Anzi al diretto interessato hanno suggerito nei giorni scorsi un cambio di strategia: basta presentarsi come l’amico di famiglia che ha accettato l’incarico per spirito di servizio. Perciò Leonardo è ancora padrone del proprio destino. Può decidere lui, dovesse andare male a Bergamo contro l’Atalanta, di farsi da parte. «Non è il tipo da arrendersi così facilmente» fanno sapere i suoi amici fidati. La soluzione Van Basten (libero e in attesa di chiamata ad Amsterdam) è suggestiva ma lontana dalla realtà: toccherebbe a Tassotti, già in lista a giugno scorso, con l’ausilio di qualche sodale, Filippo Galli ora dirottato all’organizzazione del settore giovanile, assumersi l’onere eventuale di guidare il Milan fuori dal tunnel fino al giugno prossimo. Che diventerà, per tutti, il tempo degli esami. A Milanello ha preso a girare, per il 2010, il nome di Luciano Spalletti, stimato dal vertice societario.
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